N. 493/2001 R.G. SENT.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Sanremo,
dott. Eduardo BRACCO ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel procedimento penale n. 1128/99/22 R.G. notizie di reato
e n. 1214/1999 R.G. G.I.P.
CONTRO
…, n. … (…) il …/…/…, elettivamente domiciliato presso lo
studio del difensore di fiducia Avv. Maria Cristina Roà, del
Foro di Sanremo, Libero - assente
IMPUTATO
A) del reato p. e p. dall'art. 648 c. 2 C.P., per avere ricevuto
al fine di trarne profitto, da persona rimasta sconosciuta, gli oggetti
con marchio di fabbrica contraffatto indicati al capo B);
B) del reato p. e p. dall"art. 474 C.P., per avere posto
in vendita o comunque detenuto per vendere oggetti con marchio di fabbrica
contraffatto (nel caso specifico: n. 3 borse e 2 portafogli LOUIS VUITTON,
n. 2 borse PRADA, n. 21 borse CHANEL e n. 1 borsa CHRISTIAN DIOR).
In Sanremo il 06 marzo 1999.
Conclusioni:
Il P.M. chiede la condanna a lire 2.000.000 di multa, previa
conversione ex art. 53 legge 689/81 della pena detentiva con quella pecuniaria.
Il difensore chiede che l'imputato sia assolto perché
il fatto non costituisce reato. In subordine chiede che l'imputato
sia condannato al minimo della pena, con sostituzione della pena detentiva
con quella pecuniaria.
MOTIVI DELLA DECISIONEIl G.I.P. di Sanremo, in data 8
luglio 1999, emise decreto penale di condanna nei confronti di … in relazione
ai reati in epigrafe; l'imputato presentò rituale opposizione, chiedendo
di essere giudicato con le forme del rito abbreviato, celebrato in oggi.
Il fatto è pacifico: il … verso le ore 18 del
6 marzo 1999, fu visto dalla P.G. mentre per strada (in Sanremo, al Corso
Matteotti) offriva in vendita ai passanti borse e portafogli aventi marchi
di fabbrica contraffatti, come specificato nel capo B della rubrica.
La S.C., occupandosi di casi analoghi, ha in più
occasioni affrontato la questione della possibilità o meno del concorso
tra la ricettazione (art. 648 C.P.) ed il commercio di prodotti con segni
falsi (art. 474 C.P.) - reati nel caso di specie ascritti al … - talvolta
ravvisando un rapporto di specialità tra le due fattispecie (v.
Cass. Sez. V, 27 aprile 1998 n. 1315 e 14 gennaio 2000 n. 5525),
in altri casi escludendolo (v. Cass. sempre sez. V, 6 marzo
1997 n. 2098 e 17 dicembre 1999 n. 14277).
Il contrasto giurisprudenziale è stato di recente
risolto dalle Sezioni Unite della S.C. che, con sentenza del 9 maggio -
7 giugno c.a., ha stabilito che i due reati possono ben concorrere tra
di loro, non essendo vincolati da un rapporto da genus a species, in quanto
“le condotte delineate sono ontologicamente e strutturalmente diverse e
non sono neppure contestualí, essendo ipotizzabile una soluzione
di continuità anche rilevante”.
L'insegnamento viene recepito da questo giudice, oltrechè
per l'autorevolezza della fonte, in quanto congruamente motivato e tecnicamente
ineccepibile, dovendosi affermare che i due delitti non presentano elementi
in comune, differenziandosi sensibilmente:
- quanto all'elemento soggettivo, consistente nella cosciente
volontà di ricevere, al fine di procurare a sé o ad altri
un ingiusto profitto, danaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto
(ricettazione), ovvero di detenere, porre in vendita e immettere in circolazione
prodotti con marchi e segni contraffatti (art. 474 C.P.);
- quanto all’oggettività giuridica, che nella
ricettazione è la tutela del patrimonio e nel reato ex art. 474
C.P. della fede pubblica (quantomeno in via primaria);
- quanto agli scopi, posto che il legislatore mira ad
impedire con l'art. 648 C.P. la circolazione di cose provenienti da reato
e con l'art. 474 C.P. gli abusi della pubblica fede.
Ritiene la difesa che non sussisterebbero i reati contestati,
sul presupposto che ci troveremmo in presenza di un falso palese ed esplicito,
come tale inidoneo a ledere la pubblica fede (la persona che compra per
strada la borsa dall'extracomunitario sarebbe ben consapevole della falsità
del relativo marchio); di conseguenza, oltre all'art. 474 C.P., verrebbe
meno anche la ricettazione, non essendo ravvisabile il reato presupposto
(cioè l'art. 473 C.P., anch'esso a tutela della fede pubblica, che
sanziona penalmente il responsabile della contraffazione di un marchio).
In sostanza, colui che produce una borsa o altro oggetto
col marchio contraffatto - seguendo l'assunto difensivo - non commetterebbe
reato, al pari del venditore, posto che la clientela, a conoscenza della
falsità dell'oggetto, non sarebbe mai vittima di frodi.
L'assunto, pur apprezzabile nel suo intento di ricondurre
a mero illecito civile delle condotte di indubbia modesta gravità,
non può essere condiviso.
Peraltro, può parlarsi di scarsa gravità
in relazione a fatti come quello in esame, non certo nell'ipotesi, ad esempio,
in cui la P.G. scoprisse un centro di produzione di migliaia di borse con
marchio contraffatto, gestito e diretto da una pluralità di soggetti!
In tal caso dovremmo ritenere che i falsari commettano
un mero illecito civile perché gli acquirenti dei loro prodotti
non verrebbero ingannati?
A parere di questo giudice, appare arduo ritenere l'insussistenza
del reato presupposto (art. 473 C.P.) e di conseguenza della ricettazione.
Chi produce una borsa, un orologio o altro oggetto con
marchio contraffatto realizza, sovente, un prodotto all'apparenza molto
simile a quello originale, rendendo necessario un attento esame, non alla
portata di tutti, per accertarne l'autenticità o la falsità.
La riconoscibilità del falso, per la difesa. deriverebbe
dalle modalità di vendita del prodotto (in strada, da extracomunitario,
a prezzo basso), anziché dalle sue intrinseche caratteristiche.
In realtà, il produttore del marchio falso non
è tenuto a conoscere quali saranno le modalità di commercializzazione
del bene, non potendosi escludere - accanto alla vendita in strada da parte
dell'ambulante abusivo extracomunitario che la borsa o la cintura siano
immessi, da commercianti disonesti, nel mercato regolare, ovvero siano
vendute o regalate dall'acquirente di strada a terzi soggetti, spacciandoli
come autentici.
In sostanza, il reato di cui all'art. 473 C.P. si consuma
all'atto della contraffazione di un marchio, a nulla rilevando quelle che
potranno essere le successive vicende del bene.
Così, commette certamente il delitto di cui all'art.
473 C.P. il produttore di borse o altri oggetti contraffatti; conseguentemente,
è responsabile di ricettazione chi - come l'odierno imputato - si
adopera per la vendita di tali prodotti, e comunque li detenga, essendo
consapevole della loro falsità e quindi della loro origine delittuosa.
Parimenti la colpevolezza deve estendersi anche al reato
di cui all'art. 474 C.P.
E' vero che l'acquirente di strada normalmente è
consapevole di comprare un bene contraffatto ed anzi mira proprio a ciò,
per ottenere, con poca spesa, un oggetto apparentemente di prestigio; può
anche capitare che possano sorgere equivoci per la particolare sprovvedutezza
dell'acquirente, per le modalità di vendita o per il non elevato
valore intrinseco del bene (ad esempio, cinture con marchio falso esposte
su di un bancone, nell'ambito di un mercato annonario controllato dalla
polizia).
Al di là di ciò, si rileva che tale condotta
arreca comunque offesa al diritto del titolare del marchio ed alla correttezza
del mercato (l'art. 474 C.P. è reato plurioffensivo, tutelando in
via primaria la pubblica fede, ma anche il patrimonio, e precisamente il
monopolio sull'opera o sul marchio).
Soprattutto viene immesso sul mercato un bene che, non
costituendo falso grossolano - e qui sta il punto - è idoneo ad
ingannare, se non il diretto acquirente, coloro che in ipotesi ne vengano
successivamente in possesso.
Soltanto nel caso di "falso grossolano”, quale inteso
dalla giurisprudenza, verrebbe meno la punibilità, atteso che chiunque
sarebbe in grado di accorgersi che l'oggetto di marca è in realtà
una volgare imitazione (con esclusione, in tale evenienza, anche del pregiudizio
del titolare del marchio).
Nel caso di specie, l'imputato intendeva vendere delle
borse e dei portafogli che pacificamente non costituivano “falsi grossolani”
(non vi sono stati rilievi della difesa sotto tale profilo) e detta sua
condotta, con l'ovvia sua consapevolezza in ordine alle falsità,
integra indubbiamente il reato contestatogli di cui all'art. 274 C.P..
Egli è dunque colpevole dei reati ascrittigli.
La soluzione adottata appare in linea con la lettera
e la ratío delle norme incriminatici, nonché in sintonia
con la citata decisione delle Sezioni Unite.
Venendosi alla determinazione della pena e valutati i
criteri di cui all'art. 133 C.P., si stima equo condannare il … ad un mese
di reclusione e lire 100.000 di multa (pena base un mese, quindici giorni
e lire 150.000 per il più grave reato di ricettazione, art. 648
comma 2 C.P.; ridotta per le generiche ad un mese e lire 100.000; aumentata
per la continuazione ad un mese, quindici giorni e lire 150.000, meno un
terzo per il rito).
La modesta gravità del fatto e lo stato d'incensuratezza
giustificano il trattamento sanzionatorio mite riservato al …; si è
ritenuta la continuazione tra i reati, atteso il medesimo disagio criminoso,
costituito dalla volontà di procurarsi gli oggetti contraffatti
per poi porli in vendita.
Sussistendone ogni presupposto, ed in accoglimento dell'istanza
subordinata della difesa, la pena detentiva inflitta va sostituita, ex
artt. 53 e seg. legge 689/81, con quella pecuniaria, nella misura di lire
2.250.000.
Seguono, come da dispositivo, le statuizioni sui corpi
di reato e sulla revoca del decreto penale opposto.
P.Q.M.
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Sanremo,
visti gli artt. 442, 553 e seg. c.p.p., dichiara … colpevole dei reati
ascrittigli, unificati dalla continuazione e, con le attenuanti generiche
e la diminuzione per il rito, lo condanna alla pena di un mese di reclusione
e lire 100.000 di multa.
Visto ll'art. 53 legge 689/81, sostituisce la pena detentiva
con quella pecuniaria, nella misura di lire 2.250.000.
Confisca e distruzione di quanto in sequestro.
Revoca il decreto penale di condanna n. 228/99 emesso
dal G.I.P. Tribunale di Sanremo, nei confronti del …, in data 8 luglio
1999.
Sanremo, 4 ottobre 2001.
Il Giudice per le indagini preliminari
(dott. Eduardo BRACCO)
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